Tu pensa il caso.
Avrei potuto vivere chiuso in casa per tutto il week-end, come si suol dire quando sei un maledetto fissato sull’inutile uso delle parole straniere, o il fine settimana, come si suol dire quando non hai bisogno di sentirti e/o mostrarti edotto nelle parole non italiane.
E invece, dopo un sabato passato in casa a “fallire” (cit.), ho deciso di andare al cinema di domenica alle diecidimattina. Fantastica scelta, perché ti permette di vivere l’intera giornata dall’inizio. E invece mi sono alzato tardissimo, e quindi ho deciso che, per andare a vedere un film in lingua originale a 6 euro (per inciso, è “Una battaglia dopo l’altra”); ottima scelta, direte voi, cari lettori ingenui; sarebbe un’ottima scelta se non fosse che chi ha prenotato il biglietto è un emerito demente, e quindi ha prenotato la visione del #filminlinversioneoriginale per la settimana dopo; questa cosa ovviamente l’ho scoperta al cinema davanti al ragazzo che mi ha scansionato il biglietto.
E quindi ero là, non sapevo cosa fare, erano comunque le 9.50 del mattino di domenica all’Anteo Cinema, di conseguenza ho deciso di prenotare un altro film che iniziasse in quei minuti. Incredibilmente, la mia scelta è stata un film italiano (oddio esistono film italiani? Sì.).

“La città di pianura” è una sorpresa.
Partiamo dal fatto che è un film di cui avevo sentito parlare pochissimo, forse avevo visto solo la copertina, o letto 2 righe della trama. Di conseguenza, scegliere questo film è stato un caso, completamente un caso.
Sono entrato in una delle sale del cinema che era molto piccola e molto piena (tantƏ signorƏ di un’età importante), e mi sono preparato per affrontare questo film assolutamente poco considerato tra “i film da vedere nelle prossime settimane”.
E invece.
E invece è stato un viaggio, sia letteralmente ma metaforicamente un viaggio, perché questo road trip ambientato negli anni 201* del Veneto è un concentrato di leggerezza e pesantezza. Parliamo di due vecchi amici, alla continua ricerca dell’ultimo bicchiere, che incontrano un ragazzo assolutamente fuori dalle loro “misure”, e iniziano un viaggio che è pieno di alcohol e flashback e rivelazioni sulle vite dei protagonisti, ma anche su quelle dei personaggi “secondari” (Andrea Pennacchi I love you).
Non voglio dilungarmi sulla critica del film, perché non è il mio mestiere, e anche se fossi un principiante non saprei parlarne, perchè io non so scrivere, né parlare.
Quello che posso dire, perché è quello che ho vissuto, è che:
- Ho riso molto
- Mi sono commosso
- Ho scoperto che Rovigo non esiste
- Mi sono rivisto tantissimo in uno dei personaggi, ma forse anche in tutti
- Sono troppo vecchio per crescere
- L’ultimo bicchiere e me ne andrò (e invece non me ne vado mai)
E dunque, il film mi è piaciuto tantissimo, ne sono uscito più leggero, nonostante il film in sè fosse pesante negli argomenti ma leggerissimo nell’affrontare gli argomenti stessi (“L’ultima?”).
Quello che ho scoperto è che Pierpaolo Capovilla è bravissimo ad interpretare se stesso, e che Sergio Romano non lo conoscevo/me lo ricordavo, e che Filippo Scotti “è quello di E’ stata la mano di dio, per la miseria” (autocit.).
Bordonicamente mi segno due citazioni:
- “Rovigo non esiste”
- “Siamo troppo vecchi per crescere”
Io non voglio crescere più.
Ma sono davvero cresciuto, nei miei 41 anni di vita?

(io sono tanto Giulio, ma anche Carlobianchi e Doriano, quando serve)




















