Lunedì mattina ho salutato Axel per l’ultima volta, gli ho fatto gli ultimi grattini, erano grattini di “arrivederci ma chissà per quanto”; ormai è almeno un anno (forse di più) che tornavo a Milano con il timore di non poter vedere più quell’ammasso puzzolente di ciccia spelacchiata: quell’ammasso puzzolente di ciccia spelacchiata ora non c’è più.
Axel è stato un lottatore, ha sfidato tumori grossi quanto il suo corpicino da Yorkshire, cuori malconci, e malanni della vecchiaia. Quanti sono 16 anni e mezzo per uno Yorkshire? Io dico mille. Almeno.
Se posso aver imparato qualcosa da Axel è che la fame ti manda avanti nella vita: poteva avere tutti i malanni del mondo, ma quando si trattava di mangiare era sempre in prima linea.

Ormai però stava soffrendo troppo, e prima o poi la sofferenza di un essere vivente deve pur finire. Ma dove finisce la sofferenza di Axel, ora inizia la mia.
Mi piange il cuore, il corpo, l’anima, e non smetteranno facilmente di piangere, perché mi è stata strappata un pezzo della mia vita.
Addio Axel, e grazie per tutto l’alito di pesce.
